Come la corteccia elabora le narrazioni udite

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 17 dicembre 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Raccontare non vuol dire semplicemente trasmettere un’informazione più lunga di una frase, ma rendere partecipi di una storia in un modo particolare e insostituibile nell’esperienza personale e culturale, perché origina dal bisogno profondamente umano di condividere attraverso la parola contenuti di senso e stati d’animo relativi a un segmento di tempo e di vita propria o di altri protagonisti[1].

La comprensione dei vari livelli di senso veicolati da una narrazione è un’abilità affascinante che non può essere accostata alla semplice decodifica di una parola o di una frase e, dunque, esplorarne le basi neurali è rimasto a lungo un traguardo irraggiungibile per neuropsicologi e neuroscienziati cognitivi. Non si tratta del semplice riconoscimento della memoria semantica associata alla codifica acustica di una parola, ma di un’elaborazione complessa che consenta una ricostruzione di senso basata sulla decodifica interpretativa sviluppata parallelamente all’organizzazione temporale dei contenuti narrativi.

La narrazione implica infatti la dimensione temporale per due diversi aspetti: 1) il tempo di una storia o di ciò che si riferisce non appartiene alla sincronia del vissuto in cui avviene la comunicazione, ma la precede di poco o di molto in un range che va potenzialmente da Adamo ed Eva a pochi minuti prima, collocandosi dunque nel passato; 2) il contenuto si svolge nel tempo, caratterizzandosi per una semplice successione o sequenza di significati e rappresentazioni in un breve intervallo o per uno sviluppo protratto, che può giungere a quello delle epoche storiche.

In condizioni fisiologiche ordinarie il nostro cervello è in grado di gestire questi due aspetti della dimensione temporale e anche di calibrare le risposte evocative su questi parametri temporali.

Ad esempio, se in una via di un centro cittadino sentiamo una guida turistica raccontare che proprio in quel punto nel Rinascimento un personaggio storico è stato investito da un carro, con ogni probabilità registriamo in modo neutro il fatto, ma se ci viene detto che pochi minuti prima in quello stesso luogo è stata investita una ragazza, ora grave in ospedale, è quasi inevitabile un’emozione negativa o un vero e proprio dispiacere. Questo vuol dire che l’informazione narrativa nel cervello dell’ascoltatore è sufficiente ad attivare un’appropriata modulazione temporale del valore affettivo-emozionale della risposta: un evento di cinque secoli fa non solo manca di attualità, ma per i sistemi neuronici mediatori delle reazioni emotive non costituisce uno “stimolo adeguato” e, poiché gli stimoli adeguati per questo genere di risposte, come osservato da membri della nostra scuola neuroscientifica, devono possedere il requisito di “realtà attuale”, possiamo dire che un evento del passato è “meno reale” per il nostro cervello.

L’importanza della decodifica della dimensione temporale nella comprensione di una narrazione, rispetto alla decodifica semantica di vocaboli isolati o di enunciati brevi e concretistici, quali quelli tradizionalmente impiegati nella ricerca di neuropsicologia clinica è evidente. Infatti, se dalla registrazione ed elaborazione ordinata della sequenza dei contenuti verbali dipende il formarsi nella mente dell’ascoltatore, grazie al supporto della working memory, della concatenazione di valori cognitivi necessaria a comprendere nessi causali, condizionali, di appartenenza e, soprattutto, il senso complessivo del narrato, dalla collocazione nel tempo del racconto dipende l’atteggiamento psichico complessivo dell’ascoltatore.

Si comprende bene perché la ricerca sulle basi cerebrali della comprensione di brani e narrazioni abbia presto abbandonato i modelli modali della neuropsicologia, che concepivano una schematica elaborazione seriale in aree corticali dipendenti dalla prima elaborazione operata dall’area acustica primaria sulla prima circonvoluzione del lobo temporale, o area 41 della mappa di Brodmann (livello verbo-acustico), e desunte dagli studi anatomo-clinici su pazienti afasici (area di Wernicke, aree marginali, aree transcorticali, ecc.). La molteplicità degli aspetti di senso elaborati   a partire dall’ascolto di un racconto ha trovato nello studio delle reti neuroniche esplorate in vivo, in tempo reale, possibilità più concrete di avvicinarsi alla conoscenza dei processi effettivamente operanti nel nostro cervello.

Quando ascoltiamo dei racconti, il nostro cervello deve integrare informazioni in differenti scale temporali fra loro concorrenti e accumulare le tracce di senso dalle parole alle frasi e ai paragrafi, costruendo progressivamente nell’ascolto la struttura coerente del senso di tutta la storia. Per fare questo, secondo evidenze recenti, il nostro encefalo si basa su una catena di aree organizzate gerarchicamente, con finestre recettive temporali crescenti per l’elaborazione di narrazioni naturalistiche[2].

Claire H. C. Chang, Samuel A. Nastase e Uri Hasson hanno ipotizzato che la struttura della gerarchia di elaborazione corticale possa generare una sequenza osservabile di intervalli di risposta tra le reti, esprimenti i differenti livelli di gerarchia durante la comprensione di una narrazione. Esplorando questa possibilità con lo studio del cervello di volontari durante l’ascolto mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI), i ricercatori hanno ottenuto un risultato di notevole interesse.

(Claire H. C. Chang, Samuel A. Nastase and Uri Hasson, Information flow across the cortical timescale hierarchy during narrative construction. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 119 (51): e2209307119 – December 12, 2022).

La provenienza degli autori è la seguente: Princeton Neuroscience Institute, Princeton University, Princeton, NJ (USA).

[Edited by Karl J. Friston, University College London, London, United Kingdom].

Lo studio qui recensito rivela durante la comprensione di racconti ascoltati un gradiente di intervalli guidati dallo stimolo nella connettività funzionale, in una scala temporale di vari secondi. Questo flusso di informazione guidato dal racconto procede lungo la gerarchia di elaborazione corticale dalla corteccia uditiva primaria alla rete del linguaggio e poi raggiunge la rete di default (default mode network, DMN).

Sulla base dei risultati di numerosi studi si ritiene che le scale temporali di elaborazione costituiscano un fondamentale principio di organizzazione del cervello, e su tale assunzione Claire H. C. Chang, Samuel A. Nastase and Uri Hasson hanno lavorato per riconoscere lo schema paradigmatico del modo fisiologico alla base della comprensione di una narrazione.

I ricercatori hanno realizzato un semplice modello computazionale per l’elaborazione sistematica dell’interazione tra l’architettura funzionale del cervello e la struttura temporale degli inputs di linguaggio naturale uditi. Applicando questo modello computerizzato alle immagini fMRI del cervello in ascolto del racconto, hanno rilevato e dimostrato che il flusso di informazione emerge dall’accumulo neurale gerarchico guidato dagli inputs secondo una struttura simile a quella dei racconti naturalistici. Ossia strutture “gerarchicamente incastonate” – secondo la definizione degli autori – che si trovano dappertutto nei contesti del mondo reale.

Come si diceva, lo studio ha impiegato la fMRI per misurare gli intervalli di risposta tra le reti neuroniche cerebrali funzionalmente attive durante l’ascolto-comprensione dei racconti. Chang, Nastase e Hasson hanno poi adottato l’analisi di cross-correlazione inter-soggetto per catturare la connettività di rete guidata dallo stimolo condiviso. In tal modo hanno trovato una sequenza temporale fissa di intervalli di risposta – in una scala di secondi – che aveva inizio nelle aree uditive primarie, seguite dalle aree del linguaggio, poi da quelle della rete neuronica dell’attenzione e, infine, dalla DMN.

Interessante notare che questo gradiente è risultato fisso e costante per otto differenti storie, ma del tutto assente nei dati acquisiti durante l’ascolto di racconti manipolati per renderli incomprensibili o durante lo stato di riposo cerebrale.

Questi risultati supportano l’ipotesi degli autori dello studio, secondo cui la ricostruzione mentale della storia ascoltata dà origine agli intervalli temporali tra le reti neuroniche di diverso livello e competenza elaborativa.

Infine, adoperando il modello realizzato, Chang, Nastase e Hasson hanno effettuato delle simulazioni, che dimostrano come il graduale accumulo di informazioni all’interno dei confini di eventi linguistici circoscritti, accompagnato da accresciuta attività a ciascun livello della gerarchia di elaborazione, può dare origine al gradiente osservato mediante fMRI nel cervello dei volontari in ascolto.

Concludendo, se rapportiamo il risultato di questo studio alla vaga idea di un’elaborazione astratta dell’informazione verbale da parte della corteccia cerebrale, che si aveva fino a qualche decennio fa, si può sicuramente essere soddisfatti per avere intrapreso la giusta via che porterà a riconoscere e distinguere in chiave temporale le reti neuroniche attive nella comprensione, in attesa che si giunga all’interpretazione dei codici neurali dei processi.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-17 dicembre 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] La definizione è del nostro presidente che, nell’incontro seminariale di mercoledì 14 dicembre, faceva anche notare che nel Grande Dizionario Enciclopedico UTET nei volumi intitolati “Gli Strumenti del Sapere Contemporaneo” alla voce monografica “Letteratura” non vi è traccia dell’origine di questo ambito artistico da un bisogno naturale di raccontare ossia di condividere, attraverso la parola poetica o narrativa, esperienze, concetti, sentimenti e stati d’animo, e si presentano delle esercitazioni di pensiero filosofico, epistemologico, ideologico e in generale critico, di autori che riconducono la letteratura alle convenzioni del proprio codice disciplinare o al lessico di moda nel proprio ambito di studi, così che l’autore della monografia, Rinaldo Rinaldi, riporta sulla letteratura queste parole del filosofo Jacques Derrida, che proponiamo al giudizio critico del lettore: “Cessando di designare una forma particolare, derivata, ausiliaria del linguaggio in generale, cessando di designare la pellicola esterna, l’inconsistente doppio di un significante maggiore, il ‘significante del significante’, il concetto di scrittura comincia a debordare l’estensione del linguaggio… il significato vi funziona da sempre come un significante… Ciò porta, a rigore, a distruggere il concetto di segno in tutta la sua logica” (GDE UTET, 1997).

[2] Il concetto di naturalistic narratives si basa sul rilievo da parte di alcuni studiosi di letteratura, fra cui Monika Fludernik, della possibilità di costruire testi basati su paradigmi presenti nel mondo naturale e, generalmente, centrati sul lettore o ascoltatore del testo.